Analfabetismo visivo. Quando le immagini (non) comunicano
Credo che non ci sia mai stata nella storia una civiltà, come la nostra, del tutto incapace di leggere o produrre immagini significative.
Era il 2015 quando Emanuela Pulvirenti scriveva un post su Didatticarte citando una lectio magistralis del regista Peter Greenaway a Palazzo Barberini in Roma.
Tutti in questa sala siete analfabeti visuali – diceva Greenaway – non è colpa vostra, ma dell’educazione che vi hanno impartito. Nel periodo più fertile dell’apprendimento vi hanno dato in mano solo testi, testi e ancora testi. Il cinema potrebbe migliorare questa lacuna, ma la maggior parte dei film è basata su testi, fatta di dialoghi e le immagini non riescono a sprigionare la loro forza creativa.
Se tutto questo ha un fondamento di verità, chi si occupa di comunicazione visiva dovrebbe tenere ben presente tutta una serie di problemi aggiuntivi a quelli creati dalla normale trasmissione di un messaggio.
Nella sua definizione più semplice, la pubblicità è quella forma di comunicazione di massa usata dalle imprese per creare consenso intorno alla propria immagine, con l’obiettivo di conseguire i propri obiettivi di marketing.
Nella vita di tutti i giorni ci troviamo a confronto con innumerevoli esempi di comunicazione visiva. Pensiamo, per esempio, alla segnaletica stradale orizzontale e verticale, oppure ai cartelli indicatori presenti nei luoghi di grandi ritrovi come gli ospedali e gli aeroporti.
Ma se il destinatario dei nostri messaggi è un analfabeta visivo, a che cosa serve comunicare ancora con le immagini?
Citando Emanuela, la prima cosa che ha fatto l’uomo primitivo è stata illustrare, raccontare per immagini eventi accaduti o auspicati.
L’oralità è arrivata dopo e la scrittura ancora più tardi. Narrare attraverso la raffigurazione del reale fa parte, dunque, del nostro stesso codice genetico. Forse abbiamo perso questo istinto o lo perdiamo rapidamente, nei primi anni di vita, perché è un’abilità che va affinata, coltivata. Proprio come la scrittura.
E per questa ragione è così importante affidarsi a professionisti esperti delle Arti visive per comunicare efficacemente la propria identità di marca.
Il post su Didatticarte affrontava la narrazione attraverso le immagini partendo da quei piccoli capolavori di comunicazione visiva che sono le istruzioni per il montaggio dei mobili Ikea, passando dai Prelibri di Bruno Munari, i testi visivi, gli storyboard, le graphic novel, fino ad arrivare alle alle illustrazioni, una tradizione nobilissima e di grande livello artistico non necessariamente legata al mondo delle fiabe.
Il Sole 24 Ore riportava un altro virgolettato: Voglio essere blasfemo. Noi dobbiamo avere un nuovo dio che è la nuova tecnologia, possibile attraverso l’interazione di tre strumenti: il computer, il cellulare, la videocamera.
A Time Square a New York ci sono oltre 1700 schermi, quello è il teatro del futuro, multisensoriale. In questa sala (sede della Galleria Nazionale di Arte Antica in Roma ndr), voi come un teatro tradizionale guardate verso lo schermo e invece dovreste guardare il soffitto, l’opera di Pietro da Cortona.
Da allora sono passati più di 5 anni: oggi questo linguaggio rappresenta la migliore opportunità per la comunicazione dei Brand, attraverso media tradizionali e digitali.
Immagine: visuals su Unsplash
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